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Dezzani: il M5S, piano Usa nato per sterilizzare la protesta

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Quando una nuova arma è perfezionata è abitudine sperimentarla in qualche poligono di tiro lontano da occhi indiscretti. Ma le armi convenzionali sono solo uno degli strumenti cui il sistema ricorre per esercitare il proprio dominio, scriveva l’analista geopolitico Federico Dezzani nel lontano 2015, quando a Palazzo Chigi sedeva il Matteo Renzi prima maniera, non ancora alleato dei grillini. Eppure, già allora, proprio di quelli Dezzani si occupava, definendo il Movimento 5 Stelle “la stampella del potere”. Tre anni dopo, i grillini sono andati al governo con Salvini ma piazzando lo sconoscito Conte nella sala dei bottoni. E oggi, puntualissimi, sono negli stessi ministeri ma con l’odiato Renzi e il “partito della Boschi”. Colpa di Salvini? Ma va là, direbbe Dezzani, che già quattro anni fa aveva le idee chiarissime sulla vera funzione del MoVimento, che infatti ha ricondotto all’ovile le pecorelle populiste facendo loro ingoiare persino l’inchino supremo alla Grande Germania, con l’elezione di Ursula von der Leyen a capo della Commissione Europea. A maggior ragione acquista sapore, oggi, la rilettura dell’analisi del profetico Dezzani: quello di Grillo era solo un bluff, fin dall’inizio. Operazione sofisticata, che ha ingannato milioni di elettori.

In premessa, Dezzani ricorda gli albori della strategia della tensione, poi esplosa a livello mondiale l’11 settembre 2001. Già nel remoto 1963, prima ancora che nascesse il primo centrosinistra di Moro, il laboratorio-Italia serviva alla bisogna: l’analista Grillo e Di Pietrocita una relazione riservata del Sifar indirizzata al generale Giovanni Allavena, capo del controspionaggio. Per arginare l’avanzata comunista, si contemplava la possibilità di creare «gruppi di attivisti», pronti a usare «l’intimidazione, la minaccia, il ricatto, la lotta di piazza, l’assalto, il sabotaggio e il terrorismo». Trent’anni dopo, caduta l’Urss, la sovragestione torna in campo: la fine del mondo bipolare e la volontà di procedere a tappe forzate verso un “nuovo ordine mondiale” (Ue e allargamento della Nato a Est, neoliberismo e finanza selvaggia) comporta per l’establishment euro-atlantico la necessità di sbarazzarsi della vecchia classe politica dei “paesi alleati”, con cui si è vinta la guerra fredda. Alleati ormai inutili e anche scomodi, perché «abituati a ritagliarsi una certa libertà di manovra entro i paletti della Nato e propugnatori dell’intervento dello Stato nell’economia». Per l’operazione – da supportare a livello mediatico – viene prescelto un “contadino molisano”, Antonio Di Pietro: perfetto, per sembrare un uomo del popolo.

Come ha ammesso l’ex ambasciatore americano Reginald Bartholomew, il pool milanese di Mani Pulite, guidato da Francesco Saverio Borrelli, ha agito in stretto contatto con il consolato americano di Milano. Il console generale americano a Milano, Peter Semler, ha ricevuto nei suoi uffici il futuro uomo-simbolo di Mani Pulite, “Tonino” Di Pietro, quattro mesi prima dello scoppio dell’inchiesta. Scopo dell’incontro, “informare” gli Usa sulle implicazioni politiche delle indagini, scatenate sul “segreto di Pulcinella” del finanziamento illecito ai partiti, noto da decenni anche ai magistrati. Dezzani ricorda che Di Pietro vantava trascorsi nel Sisde, secondo cui era in contatto con un diplomatico Usa attivo nel Nord Italia e con una società vicina alla Cia. Perché gli americani inseriscono Di Pietro nel pool di Mani Pulite, si domanda Dezzani, quando la squadra di Borrelli sarebbe capace di condurre l’inchiesta contro i vertici della Prima Repubblica anche senza il suo apporto? «La spiegazione è duplice: la volontà di avere un proprio referente fidato dentro la squadra di Mani Pulite e, non meno importante, il piano di Antonio Di Pietrolanciare Di Pietro, l’eroe nazionale che libera l’Italia dal marciume della Dc e del Psi, come nuovo astro nascente della politica italiana».

Tutti i media del periodo, infatti, dal “Corriere” a “Repubblica”, preparano il terreno in questo senso. E non appena Di Pietro lascia la toga nel dicembre del 1994, gira l’ipotesi che l’ex magistrato si schieri nell’arena politica, usando come base di partenza il movimento d’opinione innescato dallo sdegno per Tangentopoli. «Nel luglio del ‘95 – continua Dezzani – Di Pietro compie il terzo misterioso viaggio negli Usa dallo scoppio di Mani Pulite (un primo nell’ottobre del ‘92 finanziato dalla United States Information Agency e il secondo nel ‘94 prima di lasciare la magistratura): là è ricevuto dall’American Enterprise Institute (lo stesso pensatoio che 15 anni dopo sforna Matteo Renzi) e dal politologo Edward Luttwak». Al suo ritorno in Italia, stupendo tutti i collaboratori, Di Pietro decide di appoggiarsi al centrosinistra: «A Washington devono avergli spiegato che saranno infatti i governi di sinistra a spadroneggiare negli anni successivi, dopo l’effimera esperienza del governo Berlusconi I: il loro compito sarà smantellare l’industria di Stato, agganciare l’Italia all’euro a qualsiasi costo e piegarsi alla politica angloamericana nei Balcani».

Così, “Tonino” diventa ministro dei lavori pubblici del governo Prodi I (1996) e poi nuovamente ministro delle infrastrutture del governo Prodi II (2006-2008): è nella veste di responsabile di questo dicastero che l’ex pm, sempre in ottimi rapporti con gli Usa, nomina nel febbraio 2007 Gianroberto Casaleggio e i fondatori della Casaleggio Associati (Mario Bucchich e Luca Eleuteri) come esperti del ministero per le strategie comunicative ed i nuovi media. «Siamo entrati nella sperimentazione dell’ultima arma psicologica, concepita e applicata con discreto successo già in Ucraina con la rivoluzione arancione del 2004: l’impiego della Rete per influenzare l’opinione pubblica, screditare i governi ostili e, all’occorrenza, organizzare manifestazioni di piazza o moti contro le istituzioni». È nel 2004, continua Dezzani, che Casaleggio allestisce il sito Beppegrillo.it e, a distanza di tre anni, replica l’operazione con il sito di Antonio Di Pietro: «E’ singolare che tra le centinaia di esperti di comunicazione Gianroberto Casaleggiooperanti in Italia, un ministro della Repubblica italiana si affidi “per imparare a schiacciare i bottoncini di Twitter e di Facebook” allo stesso guru informatico che sta preparando il primo Vaffa-day contro il governo Prodi».

Quando poi Di Pietro si lamenta della gestione del suo blog («non è più lui a dettare la linea politica del proprio sito, bensì a subirla»), l’ex pm diventa un concorrente politico della “corazzata Casaleggio”, un rivale «con cui spartirsi il voto di protesta». Ma durerà poco: Di Pietro viene liquidato nel 2010 dal “Corriere delle Sera”, che pubblica una foto di 18 anni prima che lo immortala a cena con l’allora capo del Sisde del Lazio, Bruno Contrada, e uno 007 in servizio all’ambasciata americana. Poi, nel novembre del 2012, la conduttrice di “Report” Milena Gabanelli assesta il colpo letale all’Italia dei Valori, con un’inchiesta sui rimborsi elettorali: e addio Di Pietro. «Il sol dell’avvenire è ora il Movimento 5 Stelle, nato e cresciuto attorno al blog di Grillo messo a punto dalla Casaleggio Associati». Se Di Pietro è servito a disarmare l’Italia di fronte allo strapotere Usa-Ue dopo la caduta dell’Urss, depistando poi il dissenso verso il falso bersaglio Berlusconi, in piena Seconda Repubblica serviva qualcosa di più adatto per continuare il lavoro: loro, i grillini. Manovrati dal guru Casaleggio, che Dezzani propone al centro di snodi complessi, fra Olivetti e Telecom, Goldman Sachs e “nuovo ordine mondiale” in salsa neoliberista.

Telecomunicazioni e servizi segreti, scrive Dezzani, sono diventati sinonimi dopo le rivelazioni dell’ex analista Edward Snowden, che nel 2013 ha dimostrato come l’Nsa intercetti e sorvegli illegalmente chiunque, semplici cittadini o capi di Stato, appoggiandosi anche a servizi segreti alleati per coprire i rispettivi territori nazionali. L’Italia resta preziosa, ma «solo perché dalla Sicilia transitano i fondamentali cavi sottomarini che connettono l’Europa con tutto l’Oriente e il Sud America». Il controllo di Telecom Italia, cui fanno capo la rete fissa e le linee transoceaniche (Telecom Sparkle) è quindi fondamentale per Washington. «La penetrazione dei servizi angloamericani nell’ex-monopolio dei telefoni affonda le radici già nel dopoguerra», ricorda Dezzani. E dal confezionamento di dossier alle intercettazioni diffamatorie, la rete telefonica «è sempre stata usata per esercitare il ferreo controllo sul paese». È nella cornice che associa Telecom ai servizi segreti che deve essere inquadrata, sempre secondo Dezzani, la figura di Gianroberto Casaleggio, «perito informatico, mai laureato, entrato nel 1975 alla Olivetti», Franco Bernabènell’ex regno del massone progressista Adriano Olivetti, imprenditore illuminato. Esoterismo? Del maestro di origine armena Georges Ivanovič Gurdjieff, Gianroberto Casaleggio si definì «discepolo».

Dezzani scrive che il profilo esoterico di Casaleggio (a sua volta massone, come rivela Gioele Magaldi), si arricchisce di nuovi importanti particolari nel marzo del 2013, quando sul settimanale “Panorama” compare l’intervista a Giuliano Di Bernardo, ex “gran maestro” del Grande Oriente d’Italia. Sia per Casaleggio che per l’ex capo del Goi, «in un futuro non troppo lontano scompariranno le differenze ideologiche, politiche e religiose». Secondo Di Bernardo, peraltro, «a governare sarà una comunione di illuminati, presieduta dal “tiranno illuminato”», mentre per Casaleggio a condurre l’umanità sarà la Rete. Dezzani torna alla sua cronistoria proto-grillina, facendo un’escursione tra le pagine della telefonia nazionale privatizzata. Nel 1999, con un’azzardata scalata a debito, la Olivetti di Roberto Colaninno (patron di Omnitel e Infostrada) conquista il 51% di Telecom, ex-monopolio pesidiato dal potentissimo Franco Bernabé (Round Table, Council on Foreign Relations, Bilderberg e Jp Morgan, Rothschild Europe), reduce dalla privatizzazione di settori dell’Eni. Ma l’Olivetti di Colaninno non si ferma: nel 2000 acquista (dalla britannica Logica Plc) il 45% della Logicasiel, di cui Finsiel (controllata da Telecom Italia) detiene il restante 55%: la società, che cambia il nome in Webegg Spa, è quindi ora in mano al 100% al gruppo formato da Telecom Italia e Olivetti.

«La britannica Logica plc non è un’azienda qualsiasi, bensì il colosso inglese delle nuove tecnologie: nel 1974 è la prima azienda europea ad importare sul Vecchio Continente il papà di Internet (Arpanet) quando è ancora un tecnologia militare statunitense». E in quegli stessi anni «disegna la rete elettronica per lo scambio di dati tra banche (il celebre Swift, Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication)». La neonata Webegg Spa, che offre “consulenza e soluzioni informatiche alle aziende che si organizzano in rete su modello delle web company”, è ben inserita nel comunità economica anglofona: da un anno collabora la società di nuove tecnologie Neon (New Era Of Networks, con sede in Colorado), fondata dal responsabile informatico di Goldman Sachs, Rick Adam, già in forza al colosso degli armamenti Litton Industries, poi Northrop Grumman. Amministratore delegato della ex-Logicasiel, ora Webegg Spa, è nientemeno che Gianroberto Casaleggio, affiancato dai fidi Enrico Sassooncollaboratori che il guru porterà poi con sé nelle future esperienze aziendali e politiche: Luca Eleuteri, Mario Bucchich ed Enrico Sassoon, membro del Cda fino al 2003.

Presente nel direttivo della Camera di Commercio Usa in Italia sin dal 1998 e direttore responsabile della “Harvard Business Review” dal 2006 – annota Dezzani – Sassoon ha le sembianze del classico “agente di collegamento” tra l’ambasciata americana di Roma e gli uffici della Webegg, il cui fatturato però non è roseo. Eppure, «nonostante i non eclatanti risultati, la Webegg di Casaleggio non bada a spese per i propri dipendenti, come se la società godesse di qualche connaturato privilegio». Per Dezzani, l’enigmatica attività di Casaleggio in Webegg è tale da richiedere la collaborazione del responsabile informatico di Goldman Sach e la consulenza della Camera di Commercio americana. Poi accade che bel 2001 il Cavaliere vince le elezioni, il presidente di Pirelli Marco Tronchetti Provera acquista il controllo di Telecom e, a distanza di due anni, Gianroberto Casaleggio è costretto a lasciare la Webegg Spa. Nel 2006 torna al governo Prodi, e Tronchetti Provera perde la sponda con l’esecutivo. «Nella salace satira di Beppe Grillo contro Tronchetti Provera, eletto a suo bersaglio preferito finché questi non cede Telecom, è facile scorgere una vendetta di Casaleggio per la chiusura del “laboratorio Webegg”», scrive Dezzani. Ma l’ex perito informatico dell’Olivetti non si perde d’animo: traghetta i suoi uomini più fidati, come Sassoon, verso nuovi lidi. E nel gennaio del 2004 nasce la Casaleggio Associati.

«È molto significativo che il blasonato Sassoon (corrispondente del “Sole 24 Ore” e consulente per le maggiori multinazionali americane operanti in Italia), anziché permanere nel Cda di Webegg, decida di seguire Casaleggio nella neonata impresa». Dezzani evoca «il sospetto che Sassoon, più che alle nuove tecnologie, sia interessato alla specifica attività cui sta lavorando l’enigmatico perito». Nel 2004, Internet è già parte integrante dell’allora innovativa strategia angloamericana per rovesciare i governi ostili: l’Ucraina è teatro di un primo tentativo di cambio di regime, cioè la “rivoluzione arancione” «finanziata da George Soros e dal Dipartimento di Stato americano, dove sono massicciamente impiegati blog e siti d’informazione, ampiamente pubblicizzati dai media anglofoni». Proprio in quell’anno, continua Dezzani, Beppe Grillo legge un libro di Casaleggio e, secondo la versione ufficiale, ne rimane affascinato e gli telefona. Si incontrano a Livorno, al termine di uno spettacolo dello showman, e Grillo decide di affidare a Gianroberto la creazione del suo blog. La verità dev’essere un’altra, Casaleggio e Grilloipotizza Dezzani: «Il comico genovese (che con l’ex agente del Sisde Antonio di Pietro condivide il profilo giustizialista, anti-casta e demolitore) deve essere stato segnalato da qualcuno come idoneo al progetto che Casaleggio sta sviluppando». Chi è questo qualcuno?

«Gli indizi portano all’ex colonnello della Guardia di Finanza Umberto Rapetto: amico di Grillo sin dagli anni ’90, in contatto sin dal 2000 con Franco Bernabé che lo nomina 12 anni dopo consulente strategico in Telecom, Rapetto è docente alla Nato School di Oberammergau e consulente del Pentagono in materia di sicurezza». Mica male, l’amico di Grillo. Che adesso ha un nuovo compagno di strada: Gianroberto. «Una peculiarità che Casaleggio conserva dalla precedente esperienze in Webegg – continua Dezzani – è la prodigalità negli investimenti: nell’autunno del 2004 la neonata società di Casaleggio sigla infatti un accordo di collaborazione con Enamics, società di Stanford fondata “dall’esperto mondiale di Information Technologies e autore di bestseller internazionali” Faisal Hoque, che costruisce le architetture informative per giganti come Ge, MasterCard, American Express, Northrop Grumman, Pepsi, Ibm, Netscape, Infosys, Jp Morgan». Come è Faisal Hoquepossibile che un divo dell’informatica che lavora per i colossi delle finanza e degli armamenti americani si lasci coinvolgere nei progetti di una neo-costituita e anonima azienda italiana?

Bisogna forse porre la domanda a Enrico Sassoon e ai suoi amici americani, «perché difficilmente la Casaleggio Associati avrebbe le risorse finanziarie per pagare la parcella di Faisal Hoque». E qui, aggiunge Dezzani, arriviamo a un punto fondamentale: se in Telecom i progetti del guru di Beppe Grillo erano finanziati direttamente dall’ex monopolio dei telefoni, dove trae ora sostentamento la Casaleggio Associati? I bilanci per il triennio 2009-2012 mostrano ricavi e utili in costante calo: «Sorgono spontanei i dubbi sulla capacità della Casaleggio Associati di stare sul mercato senza qualche aiuto interessato». Di certo, come nel caso di Di Pietro, «è la Casaleggio Associati che produce i contenuti del blog di Grillo, stabilisce la linea politica, decide quando e contro chi alzare i toni». Direttamente prodotti dalla Casaleggio Associati e diffusi in rete dalla società milanese sono i celebri video “Prometheus – la Rivoluzione dei media” (2007) e “Gaia – The future of politics” (2008). Scenari: Terza Guerra Mondiale e pace perpetua, fusioni tra colossi della Rete, trionfo dell’informazione angloamericana. Interessanti i richiami esoterici, che sono parte integrante del profilo di Casaleggio: «Si cita espressamente il “nuovo ordine mondiale” che, da George Bush senior a Giorgio Napolitano passando per Jacques Delors è sulla bocca di tutti i membri dell’élite euro-atlantica». Inoltre, al termine di “Prometheus” (personaggio chiave della dottrina massonica-teosofica), «compare il celebre occhio divino nel triangolo raggiante».

Siamo nel 2008: sfruttando il sito Meetup per l’organizzazione di incontri e manifestazioni, Grillo ha iniziato da tre anni a radicarsi sul territorio. Risale all’anno precedente il primissimo Vaffa-Day «con cui il comico genovese pubblicizza l’iniziativa “Parlamento pulito” contro la casta, la corruzione, i segretari di partito, i politici condannati in appello». Già in quell’occasione, a dare particolare rilievo all’evento sono i media anglofoni, come la “Bbc”. «I tempi – prosegue Dezzani – sono quindi maturi per il primo incontro ufficiale tra l’astro nascente della politica italiana e il corpo diplomatico americano in Italia: nell’aprile del 2008, George Bush junior imperante, si consuma il pranzo-esame tra Beppe Grillo e l’ambasciatore americano Ronald Spogli, lo stesso che di lì a poco ammonirà Silvio Berlusconi per i suoi pericolosi legami con la Russia». Al termine dell’incontro, l’intimo amico di Bush scrive a Condoleeza Rice: il favoloso Grillo tuona contro la corruzione italiana. «L’esame è superato, e dalla politica arriva il via libera al progetto su cui i servizi d’informazione britannici e statunitensi Ronald Spoglilavorano dai tempi della Logicasiel-Webegg: il 4 ottobre 2009, al Teatro Smeraldo di Milano, nasce il Movimento 5 Stelle come filiazione del blog di Beppe Grillo, appena eletto dalla rivista americana “Forbes” a settima celebrità mondiale della Rete».

I movimenti politici finanziati dagli angloamericani e costruiti attorno al web, ricorda Dezzani, sono riconducibili a tre tipologie: creati per rovesciare governi ostili, per azzoppare amici o per mantenere lo status quo, fornendo una valvola di sfogo al malcontento. Il Movimento 5 Stelle rientra appunto nella terza tipologia, come ora si è visto. «Dopo aver dato ottimi risultati Italia, è stato riprodotto perfino negli Stati Uniti attraverso il movimento “Occupy Wall Street”, finanziato dal miliardario George Soros, come ammesso dall’agenzia “Reuters” nell’ottobre del 2011», in un’intervista dai contenuti poi parzialmente ritrattati. Il fondatore di “Occupy”, Micah White, sul blog di Grillo scriveva: «Al momento il M5S è il più importante movimento sociale al mondo. Siete voi che ci state mostrando la strade dove andare, la direzione». Spiega Dezzani: «Non c’è nessuna volontà di rovesciare l’establishment né di metterlo in discussione: come le rivoluzioni colorate di Ucraina, Georgia o Libia, si agisce sì sul malcontento e sulla frustrazione della popolazione per organizzare manifestazioni e occupazioni di luoghi pubblici, ma lo scopo è offrire una valvola di sfogo, impedendo che l’accumularsi della tensione esploda in autentici disordini o moti di piazza contro la classe dirigente».

Il MoVimento «ha quindi il compito, in una prima fase, di catalizzare la protesta esacerbando i toni, e poi, superate le scadenze elettorali decisive, sterilizzare i voti raccolti». Detto fatto: fino alla primavera 2018, i grillini hanno lasciato agli altri il governo del paese; durante la fase “gialloverde”, hanno smorzato i toni e tradito una dopo l’altra tutte le promesse elettorali: Tap e Tav, trivelle, Muos, Ilva, vaccini. Prima, il blog di Grillo lanciava invettive contro l’euro, le basi Nato, le sanzioni alla Russia. Tutto svanito nel nulla, come da copione. Nel 2012, alla vigilia dell’ingresso dei grillini in Parlamento, imperversava lo “tsunami tour” di Grillo, a caccia del voto di protesta: “giornalisti carogne”, “il sistema sta collassando”, “la rivoluzione è iniziata”. Nel febbraio 2013, a urne ancora aperte, il sito “OpenDemocracy” finanziato da Soros scriveva: Grillo diverrà la terza forza politica Sorositaliana e costituirà un modello per tutta l’Europa. Dopo il successo (25%, primo partito alla Camera) è scattata subito la sterilizzazione del voto di protesta: niente alleanze, «condannando così all’irrilevanza gli 8 milioni di voti raccolti».

Ad aprile, in vista delle elezioni per il Quirinale, Casaleggio e Grillo «si recano in pellegrinaggio all’ambasciata inglese per discutere sulle votazioni del nuovo presidente della Repubblica». È significativo, annota Dezzani, che gli inglesi propongano loro la riconferma di Napolitano: «Il loro obbiettivo è infatti bloccare ad ogni costo l’elezione di Romano Prodi, considerato anti-americano e filo-russo». In sostanza «Grillo si adegua, dichiarando che i suoi parlamentari non voteranno mai il professore bolognese, mentre Matteo Renzi coalizza i famosi 101 parlamentari che affosseranno Prodi: l’effetto domino non riserva sorprese e cadono prima Bersani e poi il premier Letta. “L’americano” Matteo Renzi è finalmente a Palazzo Chigi e può recitare un simpatico teatrino con il sodale Beppe Grillo, quando si incontrano tête-à-tête nel febbraio del 2014». I grillini ricorderanno: il leader li aveva “scaldati” lanciandoli su una falsa pista, Stefano Rodotà. Ma il vero obiettivo era lasciare che venisse votato Napolitano Grillo e Renzianziché Prodi. Nella primavera 2014, vigilia delle europee, Grillo finge di scatenarsi contro Renzi: sostiene che i 5 Stelle ormai sono il primo partito e il loro trionfo si trasformerà in una slavina. E così, osserva Dezzani, Grillo spaventa volutamente i moderati spingendoli verso il Pd renziano.

Pochi mesi dopo, quando l’economia crolla e Renzi frana insieme al Pil, Grillo che fa? Anziché affondare il colpo si dichiara «un po’ stanchino», come Forrest Gump, e cede il timone alla Casaleggio Associati. «Da allora, ghiottissime occasioni per mandare al tappeto le fatiscenti istituzioni della Repubblica italiana scorrono placidamente sotto i ponti». Nessun Vaffa-Day, ad esempio, contro Mafia Capitale. «In cambio, l’establishment euro-atlantico, lo stesso che marchia i video della Casaleggio Associati coll’occhio divino nel triangolo irradiato, prepara l’ennesima mostruosa trasformazione del M5S, questa volta in partito di governo da sostituire-affiancare al già fuso Pd di Matteo Renzi». Era il 2015, quando Dezzani scriveva queste profetiche riflessioni. Sulla “Stampa” del 3 giugno si leggeva: “L’anti-Renzi non può essere Salvini. Il politologo D’Alimonte: con l’Italicum sarebbe più favorito Di Maio”. Il resto è cronaca, o quasi. Dopo il sabotaggio del governo gialloverde, con le iniziative di Salvini regolarmente insabbiate da Conte (per la gioia del Quirinale, di Bankitalia e dell’Ue, di Macron e della Merkel), è stato Grillo – riapparso di colpo – a incoraggiare il clamoroso inciucio con l’aborrito Pd, colto al volo da Renzi. E ora eccoli: Matteo e Beppe finalmente insieme, alla luce del sole. Con tanti saluti a chi aveva creduto nella rivoluzione 5 Stelle, progettata lontanissimo dall’Italia.

Quando una nuova arma è perfezionata è abitudine sperimentarla in qualche poligono di tiro lontano da occhi indiscretti. Ma le armi convenzionali sono solo uno degli strumenti cui il sistema ricorre per esercitare il proprio dominio, scriveva l’analista geopolitico Federico Dezzani nel lontano 2015, quando a Palazzo Chigi sedeva il Matteo Renzi prima maniera, non ancora alleato dei grillini. Eppure, già allora, proprio di quelli Dezzani si occupava, definendo il Movimento 5 Stelle “la stampella del potere”. Tre anni dopo, i grillini sono andati al governo con Salvini ma piazzando lo sconoscito Conte nella sala dei bottoni. E oggi, puntualissimi, sono negli stessi ministeri ma con l’odiato Renzi e il “partito della Boschi”. Colpa di Salvini? Ma va là, direbbe Dezzani, che già quattro anni fa aveva le idee chiarissime sulla vera funzione del MoVimento, che infatti ha ricondotto all’ovile le pecorelle populiste facendo loro ingoiare persino l’inchino supremo alla Grande Germania, con l’elezione di Ursula von der Leyen a capo della Commissione Europea. A maggior ragione acquista sapore, oggi, la rilettura dell’analisi del profetico Dezzani: quello di Grillo era solo un bluff, fin dall’inizio. Operazione sofisticata, che ha ingannato milioni di elettori.
In premessa, Dezzani ricorda gli albori della strategia della tensione, poi esplosa a livello mondiale l’11 settembre 2001. Già nel remoto 1963, prima ancora che nascesse il primo centrosinistra di Moro, il laboratorio-Italia serviva alla bisogna: l’analista cita una relazione riservata del Sifar indirizzata al generale Giovanni Allavena, capo del controspionaggio. Per arginare l’avanzata comunista, si contemplava la possibilità di creare «gruppi di attivisti», pronti a usare «l’intimidazione, la minaccia, il ricatto, la lotta di piazza, l’assalto, il sabotaggio e il terrorismo». Trent’anni dopo, caduta l’Urss, la sovragestione torna in campo: la fine del mondo bipolare e la volontà di procedere a tappe forzate verso un “nuovo ordine mondiale” (Ue e allargamento della Nato a Est, neoliberismo e finanza selvaggia) comporta per l’establishment euro-atlantico la necessità di sbarazzarsi della vecchia classe politica dei “paesi alleati”, con cui si è vinta la guerra fredda. Alleati ormai inutili e anche scomodi, perché «abituati a ritagliarsi una certa libertà di manovra entro i paletti della Nato e propugnatori dell’intervento dello Stato nell’economia». Per l’operazione – da supportare a livello mediatico – viene prescelto un “contadino molisano”, Antonio Di Pietro: perfetto, per sembrare un uomo del popolo.
Come ha ammesso l’ex ambasciatore americano Reginald Bartholomew, il pool milanese di Mani Pulite, guidato da Francesco Saverio Borrelli, ha agito in stretto contatto con il consolato americano di Milano. Il console generale americano a Milano, Peter Semler, ha ricevuto nei suoi uffici il futuro uomo-simbolo di Mani Pulite, “Tonino” Di Pietro, quattro mesi prima dello scoppio dell’inchiesta. Scopo dell’incontro, “informare” gli Usa sulle implicazioni politiche delle indagini, scatenate sul “segreto di Pulcinella” del finanziamento illecito ai partiti, noto da decenni anche ai magistrati. Dezzani ricorda che Di Pietro vantava trascorsi nel Sisde, secondo cui era in contatto con un diplomatico Usa attivo nel Nord Italia e con una società vicina alla Cia. Perché gli americani inseriscono Di Pietro nel pool di Mani Pulite, si domanda Dezzani, quando la squadra di Borrelli sarebbe capace di condurre l’inchiesta contro i vertici della Prima Repubblica anche senza il suo apporto? «La spiegazione è duplice: la volontà di avere un proprio referente fidato dentro la squadra di Mani Pulite e, non meno importante, il piano di lanciare Di Pietro, l’eroe nazionale che libera l’Italia dal marciume della Dc e del Psi, come nuovo astro nascente della politica italiana».
Tutti i media del periodo, infatti, dal “Corriere” a “Repubblica”, preparano il terreno in questo senso. E non appena Di Pietro lascia la toga nel dicembre del 1994, gira l’ipotesi che l’ex magistrato si schieri nell’arena politica, usando come base di partenza il movimento d’opinione innescato dallo sdegno per Tangentopoli. «Nel luglio del ‘95 – continua Dezzani – Di Pietro compie il terzo misterioso viaggio negli Usa dallo scoppio di Mani Pulite (un primo nell’ottobre del ‘92 finanziato dalla United States Information Agency e il secondo nel ‘94 prima di lasciare la magistratura): là è ricevuto dall’American Enterprise Institute (lo stesso pensatoio che 15 anni dopo sforna Matteo Renzi) e dal politologo Edward Luttwak». Al suo ritorno in Italia, stupendo tutti i collaboratori, Di Pietro decide di appoggiarsi al centrosinistra: «A Washington devono avergli spiegato che saranno infatti i governi di sinistra a spadroneggiare negli anni successivi, dopo l’effimera esperienza del governo Berlusconi I: il loro compito sarà smantellare l’industria di Stato, agganciare l’Italia all’euro a qualsiasi costo e piegarsi alla politica angloamericana nei Balcani».
Così, “Tonino” diventa ministro dei lavori pubblici del governo Prodi I (1996) e poi nuovamente ministro delle infrastrutture del governo Prodi II (2006-2008): è nella veste di responsabile di questo dicastero che l’ex pm, sempre in ottimi rapporti con gli Usa, nomina nel febbraio 2007 Gianroberto Casaleggio e i fondatori della Casaleggio Associati (Mario Bucchich e Luca Eleuteri) come esperti del ministero per le strategie comunicative ed i nuovi media. «Siamo entrati nella sperimentazione dell’ultima arma psicologica, concepita e applicata con discreto successo già in Ucraina con la rivoluzione arancione del 2004: l’impiego della Rete per influenzare l’opinione pubblica, screditare i governi ostili e, all’occorrenza, organizzare manifestazioni di piazza o moti contro le istituzioni». È nel 2004, continua Dezzani, che Casaleggio allestisce il sito Beppegrillo.it e, a distanza di tre anni, replica l’operazione con il sito di Antonio Di Pietro: «E’ singolare che tra le centinaia di esperti di comunicazione operanti in Italia, un ministro della Repubblica italiana si affidi “per imparare a schiacciare i bottoncini di Twitter e di Facebook” allo stesso guru informatico che sta preparando il primo Vaffa-day contro il governo Prodi».
Quando poi Di Pietro si lamenta della gestione del suo blog («non è più lui a dettare la linea politica del proprio sito, bensì a subirla»), l’ex pm diventa un concorrente politico della “corazzata Casaleggio”, un rivale «con cui spartirsi il voto di protesta». Ma durerà poco: Di Pietro viene liquidato nel 2010 dal “Corriere delle Sera”, che pubblica una foto di 18 anni prima che lo immortala a cena con l’allora capo del Sisde del Lazio, Bruno Contrada, e uno 007 in servizio all’ambasciata americana. Poi, nel novembre del 2012, la conduttrice di “Report” Milena Gabanelli assesta il colpo letale all’Italia dei Valori, con un’inchiesta sui rimborsi elettorali: e addio Di Pietro. «Il sol dell’avvenire è ora il Movimento 5 Stelle, nato e cresciuto attorno al blog di Grillo messo a punto dalla Casaleggio Associati». Se Di Pietro è servito a disarmare l’Italia di fronte allo strapotere Usa-Ue dopo la caduta dell’Urss, depistando poi il dissenso verso il falso bersaglio Berlusconi, in piena Seconda Repubblica serviva qualcosa di più adatto per continuare il lavoro: loro, i grillini. Manovrati dal guru Casaleggio, che Dezzani propone al centro di snodi complessi, fra Olivetti e Telecom, Goldman Sachs e “nuovo ordine mondiale” in salsa neoliberista.
Telecomunicazioni e servizi segreti, scrive Dezzani, sono diventati sinonimi dopo le rivelazioni dell’ex analista Edward Snowden, che nel 2013 ha dimostrato come l’Nsa intercetti e sorvegli illegalmente chiunque, semplici cittadini o capi di Stato, appoggiandosi anche a servizi segreti alleati per coprire i rispettivi territori nazionali. L’Italia resta preziosa, ma «solo perché dalla Sicilia transitano i fondamentali cavi sottomarini che connettono l’Europa con tutto l’Oriente e il Sud America». Il controllo di Telecom Italia, cui fanno capo la rete fissa e le linee transoceaniche (Telecom Sparkle) è quindi fondamentale per Washington. «La penetrazione dei servizi angloamericani nell’ex-monopolio dei telefoni affonda le radici già nel dopoguerra», ricorda Dezzani. E dal confezionamento di dossier alle intercettazioni diffamatorie, la rete telefonica «è sempre stata usata per esercitare il ferreo controllo sul paese». È nella cornice che associa Telecom ai servizi segreti che deve essere inquadrata, sempre secondo Dezzani, la figura di Gianroberto Casaleggio, «perito informatico, mai laureato, entrato nel 1975 alla Olivetti», nell’ex regno del massone progressista Adriano Olivetti, imprenditore illuminato. Esoterismo? Del maestro di origine armena Georges Ivanovič Gurdjieff, Gianroberto Casaleggio si definì «discepolo».
Dezzani scrive che il profilo esoterico di Casaleggio (a sua volta massone, come rivela Gioele Magaldi), si arricchisce di nuovi importanti particolari nel marzo del 2013, quando sul settimanale “Panorama” compare l’intervista a Giuliano Di Bernardo, ex “gran maestro” del Grande Oriente d’Italia. Sia per Casaleggio che per l’ex capo del Goi, «in un futuro non troppo lontano scompariranno le differenze ideologiche, politiche e religiose». Secondo Di Bernardo, peraltro, «a governare sarà una comunione di illuminati, presieduta dal “tiranno illuminato”», mentre per Casaleggio a condurre l’umanità sarà la Rete. Dezzani torna alla sua cronistoria proto-grillina, facendo un’escursione tra le pagine della telefonia nazionale privatizzata. Nel 1999, con un’azzardata scalata a debito, la Olivetti di Roberto Colaninno (patron di Omnitel e Infostrada) conquista il 51% di Telecom, ex-monopolio pesidiato dal potentissimo Franco Bernabé (Round Table, Council on Foreign Relations, Bilderberg e Jp Morgan, Rothschild Europe), reduce dalla privatizzazione di settori dell’Eni. Ma l’Olivetti di Colaninno non si ferma: nel 2000 acquista (dalla britannica Logica Plc) il 45% della Logicasiel, di cui Finsiel (controllata da Telecom Italia) detiene il restante 55%: la società, che cambia il nome in Webegg Spa, è quindi ora in mano al 100% al gruppo formato da Telecom Italia e Olivetti.
«La britannica Logica plc non è un’azienda qualsiasi, bensì il colosso inglese delle nuove tecnologie: nel 1974 è la prima azienda europea ad importare sul Vecchio Continente il papà di Internet (Arpanet) quando è ancora un tecnologia militare statunitense». E in quegli stessi anni «disegna la rete elettronica per lo scambio di dati tra banche (il celebre Swift, Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication)». La neonata Webegg Spa, che offre “consulenza e soluzioni informatiche alle aziende che si organizzano in rete su modello delle web company”, è ben inserita nel comunità economica anglofona: da un anno collabora la società di nuove tecnologie Neon (New Era Of Networks, con sede in Colorado), fondata dal responsabile informatico di Goldman Sachs, Rick Adam, già in forza al colosso degli armamenti Litton Industries, poi Northrop Grumman. Amministratore delegato della ex-Logicasiel, ora Webegg Spa, è nientemeno che Gianroberto Casaleggio, affiancato dai fidi collaboratori che il guru porterà poi con sé nelle future esperienze aziendali e politiche: Luca Eleuteri, Mario Bucchich ed Enrico Sassoon, membro del Cda fino al 2003.
Presente nel direttivo della Camera di Commercio Usa in Italia sin dal 1998 e direttore responsabile della “Harvard Business Review” dal 2006 – annota Dezzani – Sassoon ha le sembianze del classico “agente di collegamento” tra l’ambasciata americana di Roma e gli uffici della Webegg, il cui fatturato però non è roseo. Eppure, «nonostante i non eclatanti risultati, la Webegg di Casaleggio non bada a spese per i propri dipendenti, come se la società godesse di qualche connaturato privilegio». Per Dezzani, l’enigmatica attività di Casaleggio in Webegg è tale da richiedere la collaborazione del responsabile informatico di Goldman Sach e la consulenza della Camera di Commercio americana. Poi accade che bel 2001 il Cavaliere vince le elezioni, il presidente di Pirelli Marco Tronchetti Provera acquista il controllo di Telecom e, a distanza di due anni, Gianroberto Casaleggio è costretto a lasciare la Webegg Spa. Nel 2006 torna al governo Prodi, e Tronchetti Provera perde la sponda con l’esecutivo. «Nella salace satira di Beppe Grillo contro Tronchetti Provera, eletto a suo bersaglio preferito finché questi non cede Telecom, è facile scorgere una vendetta di Casaleggio per la chiusura del “laboratorio Webegg”», scrive Dezzani. Ma l’ex perito informatico dell’Olivetti non si perde d’animo: traghetta i suoi uomini più fidati, come Sassoon, verso nuovi lidi. E nel gennaio del 2004 nasce la Casaleggio Associati.
«È molto significativo che il blasonato Sassoon (corrispondente del “Sole 24 Ore” e consulente per le maggiori multinazionali americane operanti in Italia), anziché permanere nel Cda di Webegg, decida di seguire Casaleggio nella neonata impresa». Dezzani evoca «il sospetto che Sassoon, più che alle nuove tecnologie, sia interessato alla specifica attività cui sta lavorando l’enigmatico perito». Nel 2004, Internet è già parte integrante dell’allora innovativa strategia angloamericana per rovesciare i governi ostili: l’Ucraina è teatro di un primo tentativo di cambio di regime, cioè la “rivoluzione arancione” «finanziata da George Soros e dal Dipartimento di Stato americano, dove sono massicciamente impiegati blog e siti d’informazione, ampiamente pubblicizzati dai media anglofoni». Proprio in quell’anno, continua Dezzani, Beppe Grillo legge un libro di Casaleggio e, secondo la versione ufficiale, ne rimane affascinato e gli telefona. Si incontrano a Livorno, al termine di uno spettacolo dello showman, e Grillo decide di affidare a Gianroberto la creazione del suo blog. La verità dev’essere un’altra, ipotizza Dezzani: «Il comico genovese (che con l’ex agente del Sisde Antonio di Pietro condivide il profilo giustizialista, anti-casta e demolitore) deve essere stato segnalato da qualcuno come idoneo al progetto che Casaleggio sta sviluppando». Chi è questo qualcuno?
«Gli indizi portano all’ex colonnello della Guardia di Finanza Umberto Rapetto: amico di Grillo sin dagli anni ’90, in contatto sin dal 2000 con Franco Bernabé che lo nomina 12 anni dopo consulente strategico in Telecom, Rapetto è docente alla Nato School di Oberammergau e consulente del Pentagono in materia di sicurezza». Mica male, l’amico di Grillo. Che adesso ha un nuovo compagno di strada: Gianroberto. «Una peculiarità che Casaleggio conserva dalla precedente esperienze in Webegg – continua Dezzani – è la prodigalità negli investimenti: nell’autunno del 2004 la neonata società di Casaleggio sigla infatti un accordo di collaborazione con Enamics, società di Stanford fondata “dall’esperto mondiale di Information Technologies e autore di bestseller internazionali” Faisal Hoque, che costruisce le architetture informative per giganti come Ge, MasterCard, American Express, Northrop Grumman, Pepsi, Ibm, Netscape, Infosys, Jp Morgan». Come è possibile che un divo dell’informatica che lavora per i colossi delle finanza e degli armamenti americani si lasci coinvolgere nei progetti di una neo-costituita e anonima azienda italiana?
Bisogna forse porre la domanda a Enrico Sassoon e ai suoi amici americani, «perché difficilmente la Casaleggio Associati avrebbe le risorse finanziarie per pagare la parcella di Faisal Hoque». E qui, aggiunge Dezzani, arriviamo a un punto fondamentale: se in Telecom i progetti del guru di Beppe Grillo erano finanziati direttamente dall’ex monopolio dei telefoni, dove trae ora sostentamento la Casaleggio Associati? I bilanci per il triennio 2009-2012 mostrano ricavi e utili in costante calo: «Sorgono spontanei i dubbi sulla capacità della Casaleggio Associati di stare sul mercato senza qualche aiuto interessato». Di certo, come nel caso di Di Pietro, «è la Casaleggio Associati che produce i contenuti del blog di Grillo, stabilisce la linea politica, decide quando e contro chi alzare i toni». Direttamente prodotti dalla Casaleggio Associati e diffusi in rete dalla società milanese sono i celebri video “Prometheus – la Rivoluzione dei media” (2007) e “Gaia – The future of politics” (2008). Scenari: Terza Guerra Mondiale e pace perpetua, fusioni tra colossi della Rete, trionfo dell’informazione angloamericana. Interessanti i richiami esoterici, che sono parte integrante del profilo di Casaleggio: «Si cita espressamente il “nuovo ordine mondiale” che, da George Bush senior a Giorgio Napolitano passando per Jacques Delors è sulla bocca di tutti i membri dell’élite euro-atlantica». Inoltre, al termine di “Prometheus” (personaggio chiave della dottrina massonica-teosofica), «compare il celebre occhio divino nel triangolo raggiante».
Siamo nel 2008: sfruttando il sito Meetup per l’organizzazione di incontri e manifestazioni, Grillo ha iniziato da tre anni a radicarsi sul territorio. Risale all’anno precedente il primissimo Vaffa-Day «con cui il comico genovese pubblicizza l’iniziativa “Parlamento pulito” contro la casta, la corruzione, i segretari di partito, i politici condannati in appello». Già in quell’occasione, a dare particolare rilievo all’evento sono i media anglofoni, come la “Bbc”. «I tempi – prosegue Dezzani – sono quindi maturi per il primo incontro ufficiale tra l’astro nascente della politica italiana e il corpo diplomatico americano in Italia: nell’aprile del 2008, George Bush junior imperante, si consuma il pranzo-esame tra Beppe Grillo e l’ambasciatore americano Ronald Spogli, lo stesso che di lì a poco ammonirà Silvio Berlusconi per i suoi pericolosi legami con la Russia». Al termine dell’incontro, l’intimo amico di Bush scrive a Condoleeza Rice: il favoloso Grillo tuona contro la corruzione italiana. «L’esame è superato, e dalla politica arriva il via libera al progetto su cui i servizi d’informazione britannici e statunitensi lavorano dai tempi della Logicasiel-Webegg: il 4 ottobre 2009, al Teatro Smeraldo di Milano, nasce il Movimento 5 Stelle come filiazione del blog di Beppe Grillo, appena eletto dalla rivista americana “Forbes” a settima celebrità mondiale della Rete».
I movimenti politici finanziati dagli angloamericani e costruiti attorno al web, ricorda Dezzani, sono riconducibili a tre tipologie: creati per rovesciare governi ostili, per azzoppare amici o per mantenere lo status quo, fornendo una valvola di sfogo al malcontento. Il Movimento 5 Stelle rientra appunto nella terza tipologia, come ora si è visto. «Dopo aver dato ottimi risultati Italia, è stato riprodotto perfino negli Stati Uniti attraverso il movimento “Occupy Wall Street”, finanziato dal miliardario George Soros, come ammesso dall’agenzia “Reuters” nell’ottobre del 2011», in un’intervista dai contenuti poi parzialmente ritrattati. Il fondatore di “Occupy”, Micah White, sul blog di Grillo scriveva: «Al momento il M5S è il più importante movimento sociale al mondo. Siete voi che ci state mostrando la strade dove andare, la direzione». Spiega Dezzani: «Non c’è nessuna volontà di rovesciare l’establishment né di metterlo in discussione: come le rivoluzioni colorate di Ucraina, Georgia o Libia, si agisce sì sul malcontento e sulla frustrazione della popolazione per organizzare manifestazioni e occupazioni di luoghi pubblici, ma lo scopo è offrire una valvola di sfogo, impedendo che l’accumularsi della tensione esploda in autentici disordini o moti di piazza contro la classe dirigente».
Il MoVimento «ha quindi il compito, in una prima fase, di catalizzare la protesta esacerbando i toni, e poi, superate le scadenze elettorali decisive, sterilizzare i voti raccolti».
Detto fatto: fino alla primavera 2018, i grillini hanno lasciato agli altri il governo del paese; durante la fase “gialloverde”, hanno smorzato i toni e tradito una dopo l’altra tutte le promesse elettorali: Tap e Tav, trivelle, Muos, Ilva, vaccini. Prima, il blog di Grillo lanciava invettive contro l’euro, le basi Nato, le sanzioni alla Russia. Tutto svanito nel nulla, come da copione. Nel 2012, alla vigilia dell’ingresso dei grillini in Parlamento, imperversava lo “tsunami tour” di Grillo, a caccia del voto di protesta: “giornalisti carogne”, “il sistema sta collassando”, “la rivoluzione è iniziata”. Nel febbraio 2013, a urne ancora aperte, il sito “OpenDemocracy” finanziato da Soros scriveva: Grillo diverrà la terza forza politica italiana e costituirà un modello per tutta l’Europa. Dopo il successo (25%, primo partito alla Camera) è scattata subito la sterilizzazione del voto di protesta: niente alleanze, «condannando così all’irrilevanza gli 8 milioni di voti raccolti».
Ad aprile, in vista delle elezioni per il Quirinale, Casaleggio e Grillo «si recano in pellegrinaggio all’ambasciata inglese per discutere sulle votazioni del nuovo presidente della Repubblica». È significativo, annota Dezzani, che gli inglesi propongano loro la riconferma di Napolitano: «Il loro obbiettivo è infatti bloccare ad ogni costo l’elezione di Romano Prodi, considerato anti-americano e filo-russo». In sostanza «Grillo si adegua, dichiarando che i suoi parlamentari non voteranno mai il professore bolognese, mentre Matteo Renzi coalizza i famosi 101 parlamentari che affosseranno Prodi: l’effetto domino non riserva sorprese e cadono prima Bersani e poi il premier Letta. “L’americano” Matteo Renzi è finalmente a Palazzo Chigi e può recitare un simpatico teatrino con il sodale Beppe Grillo, quando si incontrano tête-à-tête nel febbraio del 2014». I grillini ricorderanno: il leader li aveva “scaldati” lanciandoli su una falsa pista, Stefano Rodotà. Ma il vero obiettivo era lasciare che venisse votato Napolitano anziché Prodi. Nella primavera 2014, vigilia delle europee, Grillo finge di scatenarsi contro Renzi: sostiene che i 5 Stelle ormai sono il primo partito e il loro trionfo si trasformerà in una slavina. E così, osserva Dezzani, Grillo spaventa volutamente i moderati spingendoli verso il Pd renziano.
Pochi mesi dopo, quando l’economia crolla e Renzi frana insieme al Pil, Grillo che fa? Anziché affondare il colpo si dichiara «un po’ stanchino», come Forrest Gump, e cede il timone alla Casaleggio Associati. «Da allora, ghiottissime occasioni per mandare al tappeto le fatiscenti istituzioni della Repubblica italiana scorrono placidamente sotto i ponti». Nessun Vaffa-Day, ad esempio, contro Mafia Capitale. «In cambio, l’establishment euro-atlantico, lo stesso che marchia i video della Casaleggio Associati coll’occhio divino nel triangolo irradiato, prepara l’ennesima mostruosa trasformazione del M5S, questa volta in partito di governo da sostituire-affiancare al già fuso Pd di Matteo Renzi». Era il 2015, quando Dezzani scriveva queste profetiche riflessioni. Sulla “Stampa” del 3 giugno si leggeva: “L’anti-Renzi non può essere Salvini. Il politologo D’Alimonte: con l’Italicum sarebbe più favorito Di Maio”. Il resto è cronaca, o quasi. Dopo il sabotaggio del governo gialloverde, con le iniziative di Salvini regolarmente insabbiate da Conte (per la gioia del Quirinale, di Bankitalia e dell’Ue, di Macron e della Merkel), è stato Grillo – riapparso di colpo – a incoraggiare il clamoroso inciucio con l’aborrito Pd, colto al volo da Renzi. E ora eccoli: Matteo e Beppe finalmente insieme, alla luce del sole. Con tanti saluti a chi aveva creduto nella rivoluzione 5 Stelle, progettata lontanissimo dall’Italia.

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